25 aprile 1945

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La Resistenza raccontata da Beppe Fenoglio (1922-1963)

25 aprile 1945

E fu il più solitario di tutti che riuscì a fare il romanzo che tutti avevamo sognato quando nessuno più se l'aspettava, Beppe Fenoglio, e arrivò a scriverlo e nemmeno a finirlo (Una questione privata), e morì prima di vederlo pubblicato, nel pieno dei quarant'anni. Il libro che la nostra generazione voleva fare, adesso c'è, e il nostro lavoro ha un coronamento e un senso, e solo ora, grazie a Fenoglio, possiamo dire che una stagione è compiuta, solo ora siamo certi che è veramente esistita: la stagione che va dal Sentiero dei nidi di ragno a Una questione privata […]. Una questione privata è costruito con la geometrica tensione d'un romanzo di follia amorosa e cavallereschi inseguimenti come l'Orlando furioso, e nello stesso tempo c'è la Resistenza proprio com'era, di dentro e di fuori, vera come mai era stata scritta, serbata per tanti anni limpidamente dalla memoria fedele, e con tutti i valori morali, tanto più forti quanto più impliciti, e la commozione, e la furia. […] È al libro di Fenoglio che volevo fare la prefazione: non al mio”.
Così scrisse Italo Calvino, il suo primo mentore, nel 1964 nella prefazione al suo Sentiero dei nidi di ragno, edito da Einaudi, riferendosi al romanzo Una questione privata di Beppe Fenoglio che era venuto a mancare l’anno precedente senza poterne vedere la pubblicazione. Ma lo stesso discorso poteva essere esteso a tutti gli altri libri di Fenoglio, da I ventitré giorni della città di Alba (1952) fino all’incompiuto Partigiano Johnny (1968) (Gabriele Pedullà).  
Solo fino a pochi anni prima lo stesso Calvino aveva negato che, nonostante il grande contributo che la Resistenza aveva offerto alla letteratura (come nella nostra bibliografia), quest’ultima avesse “dato qualche opera in cui si potesse riconoscere ‘tutta la Resistenza’”. Beppe Fenoglio aveva saputo invece raccontare la violenza della guerra, una guerra civile, come una costante di tutti i rapporti umani, una dimensione esistenziale e universale in cui esplode la capacità di creare il male insita nell’uomo. “Senza dubitare mai che la parte dei resistenti fosse quella giusta” (Aldo Cazzullo), aveva raccontato quei “mesi che hanno contato per anni” (Italo Calvino) senza mai tacerne anche gli aspetti negativi, senza mai spingere sulla propaganda. 
Sono sempre lo stesso, Fulvia. Ho fatto tanto, ho camminato tanto… Sono scappato e ho inseguito. Mi sono sentito vivo come non mai e mi sono visto morto. O riso e ho pianto. Ho ucciso un uomo, a caldo. Ne ho visti uccidere, a freddo, moltissimi. Ma io sono sempre lo stesso” (Una questione privata).

Nato esattamente cento anni fa, il 2 marzo 1922 ad Alba, Beppe Fenoglio  a ventuno anni aveva scelto di fare il partigiano e di salire in montagna: una scelta “naturale”, si era detto, dopo l’arresto di tutta la sua famiglia come rappresaglia, e poi aveva raccontato  la sua storia e quella dei suoi compagni in maniera così poco “celebrativa” fin dalla sua prima raccolta I ventitré giorni della città di Alba, da attirarsi gli strali della critica più “allineata” (in primo luogo Carlo Salinari sulle pagine de L’Unità). 
Quando Fenoglio muore nel 1963 è uno sconosciuto per il pubblico e per la critica: solo un trafiletto sui giornali gli viene dedicato. Oggi viene considerato uno dei più grandi scrittori del nostro Novecento.
Dimmi, quando finirà la guerra?”
“A maggio”
“A maggio. Ma sei sicuro ragazzo?”
“A maggio”

PM