Barbarie
Verranno di notte, di Paolo Rumiz (Feltrinelli, 2024)
‘Verranno di notte’ (Feltrinelli, 2024) si delinea come la continuazione di ‘Canto per Europa’ in cui Rumiz narrava il mito fondativo dell’Europa. Nella mitologia greca Europa è una principessa fenicia: per sedurla, Zeus si trasforma in un toro e la conduce con sé verso Ovest, fino a Creta. Da lì il nome si sarebbe poi esteso a tutto il vecchio continente. L’Europa di oggi imbarbarita (il sottotitolo del libro è ‘Lo spettro della barbarie in Europa’) ha invece dimenticato le sue origini, addirittura il suo nome – afferma lo scrittore. Il problema, paradossalmente, non è l’avanzare delle destre in tutta Europa ma il silenzio di tutti gli altri, l’assenza di un contro potere. E in politica il vuoto è pericolosissimo, perché viene riempito dal primo demagogo che allo spaesamento dei cittadini offre slogan ma non soluzioni. In assenza di etica, proclamiamo sentenze morali, blindiamo i confini e allunghiamo i reticolati mentre le anime belle lanciano anatemi contro la crudeltà dei tempi presenti e dissertano a stomaco pieno della fame altrui (a pagina 168 del libro).
Quale nuova barbarie in Europa? Chi sono i nuovi barbari? In greco, spiega Rumiz nelle pagine finali del libro, bàrbaros vuol dire balbuziente. E allora, cos’altro è la barbarie se non balbettìo, perdita della meravigliosa complessità insita nel vocabolario e nella sintassi? […] Se oggi il mondo si copre di focolai di guerra è perché le parole sono in mano a malintenzionati, spesso governati da poteri invisibili che fanno breccia sugli ingenui ed ignoranti. Se Russia ed Ucraina rischiano di autodistruggersi o se non si scioglie il nodo di Gaza è perché manca in Europa la capacità dialettica, […] perché la parola identità, nel referendum di Brexit, è stata manipolata da irresponsabili (pagina 180 e 181 del libro).
E qui il discorso di Rumiz torna all’incipit del libro, in una sorta di cerchio che si chiude. La parola identità ha la stessa radice di idiotes che in greco (come gli aveva spiegato un anziano incontrato su un'isola dell’Egeo) vuol dire “quelli ripiegati su se stessi o meglio ancora “quelli che vivono guardandosi l’ombelico” (a pagina 14 del libro). Siamo allora senza speranza? Eppure, dal buio della mezzanotte alle prime luci dell’alba, qualcosa sembra aprirsi alla speranza. Ma la parola speranza non piace a Rumiz. Preferisce parlare di forza di un pensiero collettivo che per fortuna è ancora vigoroso, di una consapevolezza che costituisce un possibile riscatto. Segnali positivi, punti-luce, si fanno strada, a mano a mano che la notte si dissolve. I pensieri diventano meno angoscianti, le voci interne meno cupe e pressanti. Arriva, sul far del giorno, portata dalla bora, una rinnovata capacità reattiva di raschiare le ultime, sane riserve di rabbia dal fondo della mia carcassa, perché possa, con gioia feroce, intingervi la penna (a pagina 127 del libro).
Il libro è presente nelle raccolte di bct in sala Infodiv. alla collocazione DIV 320.94.RUM.1
Quelli come me, si legge in quarta di copertina, non hanno che parole da offrire. Ma le parole non sono poco, in questo sconcertante silenzio.
MRC