Sulle tracce di Galileo... in cucina

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Sulle tracce di Galileo... in cucina

In occasione del Terni Falls Festival 2024, dedicato stavolta a Galileo Galilei e all'Accademia dei Lincei, ci siamo chiesti quale fosse il rapporto tra i più illustri personaggi storici e la gastronomia. Che Galileo Galilei, un autentico rivoluzionario passato alla storia del mondo intero con le sue scoperte, fosse anche amante della buona tavola è assai curioso. Alcune testimonianze scritte aiutano a comprendere la sua relazione con il cibo durante l’intero arco della vita. Vincenzo Viviani (1622-1703), suo discepolo e assistente, nel  ‘Racconto istorico della vita di Galileo’ scritto in forma di lettera al Principe Leopoldo de' Medici (1617-1675), datato 29 aprile 1654 (pubblicato per la prima volta nel 1717), racconta che i giovani studenti che frequentavano la casa dello scienziato sita in Contrà dei Vignali, quando insegnava a Padova, erano estasiati non solo dai suoi insegnamenti, ma anche da cibi e bevande che venivano loro offerti. 
Nella sua residenza nei dintorni di Firenze, Villa Il gioiello, dove Galileo visse in solitudine fino alla morte, lo scienziato si dedicò alla coltivazione della vite e alla produzione di vino. Quantunque le piacesse la quiete e la solitudine della villa, amò però sempre d'avere il commercio di virtuosi e d'amici, da' quali era giornalmente visitato e con delizie e regali sempre onorato. Con questi piacevagli trovarsi spesso a conviti, e, con tutto fosse parchissimo e moderato, volentieri si rallegrava; e particolarmente premeva nell'esquisitezza e varietà de' vini d'ogni paese, de' quali era tenuto continuamente provvisto dall'istessa cantina del Ser.mo Gran Duca e d'altrove: e tale era il diletto ch'egli aveva nella delicatezza de' vini e dell'uve, e nel modo di custodire le viti, ch'egli stesso di propria mano le potava e legava nelli orti delle sue ville, con osservazione, diligenza et industria più che ordinaria; et in ogni tempo si dilettò grandemente dell'agricoltura, che gli serviva insieme di passatempo e di occasione di filosofare intorno al nutrirsi e al vegetar delle piante, sopra la virtù prolifica de' semi, e sopra l'altre ammirabili operazioni del Divino Artefice (in ‘Racconto istorico della vita di Galileo’).
Molte informazioni su Galilei possiamo rintracciarle nelle lettere che la figlia Virginia scrisse al padre tra il 1623 e il 1633, commovente testimonianza di un affetto capace di confortare quel genio sofferente, tormentato sia dalle malattie che dall’esito del nefasto processo.  
Virginia, figlia naturale, destinata alla vita monastica, si rivolge all’illustre padre chiamandolo “Vostra Signoria” e fa accompagnare le sue missive da piccoli e umili doni come dolciumi confezionati da lei, cedri canditi e cantucci. Queste delizie erano per ringraziarlo degli omaggi ricevuti: zucchero, coperte e vino. Le lettere descrivono in realtà non solo la modesta vita quotidiana della donna, ma volgono uno sguardo drammatico sulla società del tempo che ebbe in Virginia – monaca clarissa nel convento di San Matteo a Arcetri, col nome di suor Maria Celeste – una testimone d’eccezione. Alcune note spesa arrivate fino a noi consegnano un aspetto meno noto dello scienziato: come tutti noi scriveva la lista della spesa. Ce n'è una datata 11 dicembre 1604 relativa alle carni: la gallina padovana (sarà stata rigorosamente ruspante a quei tempi!), l’anitra, il manzo, la lingua salmistrata, il cotechino e la testina di vitello. Queste erano anche le sue pietanze predilette nella stagione invernale. Non a caso, pare che il piatto preferito di Galileo fosse il lesso di carni miste, annaffiate con abbondante vino in cottura. Come accompagnamento, della mostarda veneta di cui era particolarmente goloso (a base di mele cotogne), del radicchio cotto al tegame, ma soprattutto delle salse al pepe. Tanto che in alcune epistole della figlia si parla proprio di una ‘salsa galileiana’, per la cui preparazione si lasciavano appassire delle cipolle bianche tritate con burro sul fuoco, poi si aggiungeva del midollo di manzo o di vitello, e poi via di pane grattugiato e brodo di carne, fin quando la salsa non diventava liscia e molle. Infine vi si aggiungeva sale ma soprattutto pepe nero macinato a volontà, spezia amatissima dallo scienziato.
L’acquisto effettuato presso un macellaio di Abano Terme testimonia che i quantitativi consumati fra l’11 dicembre 1604 e il 29 gennaio 1605 sarebbero stati enormi per una sola persona, ma sappiamo che il grande scienziato ospitava nella sua casa padovana, secondo una usanza dei professori del tempo, alcuni studenti dai quali riceveva in cambio una retta mensile. Sembra, come già ricordato, che gli studenti italiani, polacchi, tedeschi, inglesi e francesi, frequentassero la ‘pensione’ Galilei, attratti oltre che dall’amabilità del docente universitario di matematica, anche per la qualità di vivande e vini.  
All’interno di un’altra nota della spesa datata 1609, scritta sul retro di una lettera di Ottavio Brenzoni del 23 novembre 1609 (Nota spesa che si trova ben custodita nel Fondo galileiano della Biblioteca Nazionale di Firenze), Galileo segnava “pesci d’Arno, granchi, anguille e lucci. Funghi, raviggiuolo [raviggiolo, un formaggio molle], zatte [zucche] … pesche, uova, acciughe… fichi, azeruole [frutto dal sapore acidulo simile alle nespole], vino tre fiaschi, pane, limoni, uva… erbe da trapiantare”. Richiedeva inoltre per la sua casa l’approvvigionamento in grandi quantità di ceci, farro, zucchero, pepe, chiodi di garofano e cannella. Ma ad un certo punto gli oggetti diventano misteriosi. Diversi tipi di vetro, specchi e... una canna d'organo. Tutto quello che serviva a Galileo Galilei per costruire il suo telescopio e cambiare il corso della storia. 
La cucina fu importante nella vita di Galilei a tal punto da influenzarne le riflessioni, gli esperimenti, i tentativi, le dimostrazioni. Come il fenomeno della dilatazione termica dei liquidi, che gli tornò utilissimo per descrivere le variazioni della temperatura e per costruire uno strumento chiamato termoscopio, che non era altri che il progenitore del più moderno termometro. E fu proprio il vino, dalle migliori proprietà di dilatazione termica rispetto all’acqua, che lo aiutò a collaudare il suo primordiale e al tempo stesso rivoluzionario marchingegno.
MRC